SFINCIONE
Sfinciuni
SFINCIONE
Sfinciuni
Storia
Lo sfincione, pane pizza dall’impasto alto e morbido, è uno dei cibi più rappresentativi di Palermo. Gli ingredienti che ne compongono il condimento, ovvero pomodoro, acciughe, cipolle, pangrattato e caciocavallo, creano nella loro armonia un sapore unico, immediatamente riconducibile al “gusto” tipico del capoluogo siciliano.
Alcuni studiosi fanno derivare il suo nome dal latino spongia (dal greco spòngos), che significa spugna, altri dall’arabo isfanǧ, che indica una frittella di pane addolcita con il miele (simile alla sfincia, dolce tipico siciliano). Entrambe le ipotesi concordano comunque nell’individuare nella particolare lievitazione dell’impasto, nella sua alveolatura che ricorda appunto quella di una spugna, la caratteristica che ha definito, e condotto al presente, il termine sfincione. La ricetta dello sfincione ha subito nel tempo modifiche significative, fino al raggiungimento dell’aspetto attuale. Il suo precedente più noto, codificato in ricetta, è probabilmente quello realizzato dalle monache del Monastero di San Vito, situato vicino al mercato del Capo, oggi incamerato nel demanio statale. Si tratterebbe del suo piatta, ovvero il manicaretto dolce o salato in cui si specializzava nella produzione ogni monastero. La leggenda vuole che le monache di San Vito, in occasione di una festività natalizia, decisero di preparare un pane diverso dal solito, più ricco. La ricetta infatti prevedeva un condimento a base di interiora di pollo (budella, fegatini, polmone ma anche le creste del gallo, i barbigli e le lingue) saltate in padella, posto su di un impasto morbido e aeroso nel quale erano stati inseriti dei tocchetti di caciocavallo fresco, e infine ricoperto da una besciamella arricchita di pisellini. Una spolverata di pane grattugiato e granella di mandorle completava la preparazione. Lo sfincione del monastero di San Vito era destinato esclusivamente alla nobiltà palermitana e trovò ovviamente spazio nei ricettari dei Monsù. A tal proposito risulta interessante riportare un aneddoto sull’origine dello sfincione bagherese, variante territoriale molto nota. Si narra infatti che a seguito del trasferimento del principe Giuseppe Branciforte di Butera da Palermo a Bagheria, i suoi Monsù modificarono con le materie del luogo (le acciughe di Aspra e la tuma dei caseari locali in sostituzione della besciamella) la ricetta delle suore del monastero di San Vito, fino a quel momento da loro fedelmente riprodotta (lo sfincione di Bagheria ancora oggi realizzato differisce infatti da quello palermitano proprio per la presenza della tuma e/o della ricotta e l’assenza del pomodoro). Così come accadde a molte pietanze della cucina nobiliare, anche lo sfincione dei Monsù venne “tradotto” dalla cucina popolare, che prevedeva l’uso di ingredienti meno costosi come acciughe, cipolle, pangrattato e, qualora fosse disponibile, formaggio. Mancava ancora però uno degli ingredienti considerati oggi fondamentali: il pomodoro. Solo dai primi del Novecento infatti, quando il pomodoro divenne un prodotto più accessibile, lo sfincione iniziò a comparire nella caratteristica versione rossa, che diventerà, dopo la seconda guerra mondiale (e con l’ulteriore abbassamento del prezzo del pomodoro), quella più popolare. Lo sfincione tradizionalmente veniva preparato nelle cucine domestiche durante le vigilie delle feste natalizie (Immacolata, Natale, Capodanno, Epifania) o per l’appuntamentu, la festa di fidanzamento in casa della sposa. Era dunque una pietanza legata a occasioni di festa e condivisione. Oggi lo sfincione si trova quotidianamente nei panifici e non può mancare sulle tavole dei palermitani nel periodo natalizio. La versione più piccola dello sfincione, il mitico sfincionello, è un pilastro dello street food palermitano: si racconta sia nato dall’ingegno di alcuni venditori ambulanti di Porta Sant’Agata che decisero di vendere il cibo tipico in forma di monoporzione. Gli sfinciunari (venditori di sfincioni) spingevano a mano i carrettini per i mercati e per le strade abbanniando la loro mercanzia. Nel tempo i carrettini sono stati sostituiti dai lapini (moto ape, motoveicoli a tre ruote) e gli sfinciunari hanno iniziato a muoversi per tutta la città annunciati dalla registrazione di un imbonimento sempre uguale: «Chi spicialità vieru di sfinciuni! Càvuru è bbellu vieru, Chi cciàvuru! Uora u sfuinnavi, uora! Sunnu cosi i caprìcciu vieru, chi cciàvuru! Chi bbellezza vieru di sfinciuni! Eè, è bbellu càvuru, è bbellu vieru, chi cciàvuru! Uora u sfuinnavi, uora!» («Che vera specialità di sfincione! / Caldo è proprio buono, che profumo! / Proprio ora l’ho sfornato! /Sono proprio cose sfiziose, che profumo! / Che vera bontà di sfincione! / Ehi, è proprio caldo, è una vera bontà, che profumo!»). L’autore della réclame, ormai scolpita nella memoria acustica di Palermo, è Giuseppe La Torre detto Pippinu u sfinciunaru, famoso venditore che girava con la lapa promettendo agli avventori lo sfincione più buono di tutta la città. Come si diceva, lo sfincionello, con la caratteristica fetta di pomodoro centrale, è uno dei cibi di strada più apprezzati e consumati. Famoso è il laboratorio di Piazza Sant’Isidoro alla Guilla, chiamato scherzosamente “la centrale degli sfincionelli”, dove dalle cinque del mattino, oltre agli ambulanti in moto ape che vanno a prelevare la fornitura quotidiana, non è difficile incontrare ragazzi che decidono di concludere la serata addentandone uno cavuru cavuru (molto caldo).
Ricetta
INGREDIENTI
Per l’impasto
- 250 gr di farina 00
- 250 gr di farina rimacinata
- 25 gr di lievito di birra
- 250 gr (circa) di acqua
- 1 cucchiaio di zucchero
- 1 cucchiaino di sale
- 1 tazzina di olio extravergine d’oliva
Per il condimento
- 4 cipolle
- 300 gr di caciocavallo fresco
- 50 gr di caciocavallo grattugiato
- 100 gr di filetti di acciuga sott’olio
- 500 gr salsa di pomodoro
- origano
- mollica di pane o pangrattato
- zucchero
- olio extravergine d’oliva
- sale e pepe

Miscelare le due farine precedentemente setacciate e disporle su di una spianatoia a formare una fontana. Mettere al centro della fontana il lievito sciolto in un po’ d’acqua tiepida, l’olio, il sale e lo zucchero. Impastare aggiungendo a poco a poco l’acqua tiepida fino a ottenere un impasto molto morbido, omogeneo ed elastico. Riporre l’impasto, coperto con un panno, in una ciotola e lasciare lievitare per due ore. Nel frattempo tagliare le cipolle a fette sottili, quindi farle appassire in un tegame con olio extravergine d’oliva. Aggiungere la salsa di pomodoro, un pizzico di zucchero, sale e pepe e fare cuocere per venti di minuti circa. Passate le prime due ore di lievitazione, rimpastare e fare riposare per un’altra ora. In una padella tostare con un filo d’olio la mollica di pane (o il pangrattato). Ungere la teglia con l’olio e stendere l’impasto con i polpastrelli leggermente unti. Disporre su tutta la superfice il caciocavallo fresco, tagliato a cubetti, e le acciughe facendo una leggera pressione per affondarli nella pasta. Versare il sugo, facendo attenzione a distribuire bene le cipolle, spolverare con il caciocavallo grattugiato, la mollica tostata (o il pangrattato) e l’origano. Irrorare con olio extravergine d’oliva e lasciare riposare per mezz’ora. Preriscaldare il forno a 240°, quindi infornare per 30 minuti.