SARDE A BECCAFICO

Sardi a beccaficu

SARDE A BECCAFICO

Sardi a beccaficu

Storia

Fra i piatti più iconici della cucina palermitana, le sarde a beccafico si distinguono per l’ampia diffusione in tutta l’isola e per le diverse varianti locali attestate: oltre alla versione palermitana al forno, quella messinese e quella catanese, entrambe fritte, sono le più note.

La sarda, pesce povero presente in numerose ricette del territorio, in questo caso viene utilizzata come contenitore per un soffice ripieno a base di pangrattato, uvetta e pinoli. La chiusura dell’involtino è emblematica: la sarda viene arrotolata e disposta nella teglia con la coda, mantenuta intatta durante la pulizia del pesce, rivolta all’insù. Caratteristica di questa ricetta è, ancora una volta, la ricercata e raggiunta elevazione delle materie prime povere attraverso l’evocazione di un immaginario nobile, come si evince dal nome. Il riferimento all’uccelletto ghiotto di fichi (il beccafico), cacciato durante le battute dagli aristocratici e magistralmente cucinato dai Monsù al loro servizio, è infatti comprensibile alla luce dello “sguardo” dei ceti popolari, che non potevano permettersi carni così pregiate. I Monsù erano soliti cucinare i beccafichi interi, farciti con le loro stesse interiora e accompagnati da una salsa di agrumi; questi venivano disposti nel piatto con le piume della coda rivolta all’insù – proprio come accade nel caso delle sarde – al fine di risultare più facilmente afferrabili dai commensali. Si tratterebbe, dunque, di un’analogia formale e pratica espressa nella denominazione. Le sarde a beccafico, come spesso accade nei casi di traduzione popolare delle ricette nobiliari, divennero nel tempo ben più note dell’uccelletto farcito: in un menù del Real Collegio Carolino Calasanzio di Palermo del 1853 le troviamo già tra le portate di pesce. Per quanto riguarda il ripieno, ritroviamo i semplici e popolari ingredienti spesso utilizzati nella composizione della cosiddetta conza: la mollica atturata per “dare sostanza”, la passolina per addolcire e i pinoli per contrastare, grazie alle loro proprietà antisettiche, i possibili effetti nocivi del pesce, specie se poco fresco. L’utilizzo delle foglie di alloro e delle fette di agrumi (limoni, arance) come divisori tra i vari involtini è riconducibile anch’esso al tentativo di alleviare i forti odori e sapori che potevano assumere le sarde. Sebbene risulti una ricetta di facile realizzazione, le sarde a beccafico si reggono su di un fragile equilibrio organolettico, che ne determina la buona riuscita: l’amarognolo dell’alloro e l’aspro degli agrumi devono risultare infatti ben bilanciati. Il periodo per gustare al meglio questa preparazione è la primavera, in cui si trovano le sarde migliori. Tra i piatti più amati della cucina siciliana, la sua denominazione, a beccaficu, nel tempo si è ampliata ad altre preparazioni che prevedono un gustoso ripieno, come nel caso delle omonime melanzane.

Ricetta

INGREDIENTI (dosi per 4 persone)

  • 1kg di sarde
  • 200 gr di pangrattato
  • 100 gr di uva passa
  • 100 gr di pinoli
  • 1 arancia
  • foglie di alloro
  • prezzemolo q.b.
  • un cucchiaino di zucchero
  • olio
  • sale e pepe

Pulire accuratamente le sarde, aprirle a libro ed eliminare la lisca centrale, evitando di strappare i due filetti. Mettere due cucchiai d’olio in una padella, versare il pangrattato e lasciarlo tostare a fuoco basso. Non appena acquisisce il tipico colore dorato, unire l’uva passa precedentemente messa a mollo e strizzata, la scorza grattugiata dell’arancia, i pinoli, il cucchiaino di zucchero, sale e pepe. Spalmare il composto sulla parte interna della sarda, quindi fare una leggera pressione nel momento dell’arrotolamento per evitare che si apra in cottura. Sistemare infine le sarde con la codina all’insù in una teglia oleata alternate alle foglie di alloro e a qualche fettina d’arancia. Irrorare con olio (e con succo d’arancia, se quest’ultima non si sia stata disposta a fette tra gli involtini) e infornare per un quarto d’ora a 180°.